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F.lli DIANTI

Boutique della calce

Il Cocciopesto: materia «amica»

Racconta Plinio il Vecchio (I sec. d.C.), che Caio Proculeio, che godeva della familiarità di Cesare Augusto, si diede la morte bevendo una soluzione di gesso, perché afflitto da una dolorosissima ulcera duodenale.
La farmacopea dell’epoca insegnava ben altri rimedi, però: la sostanza usata in medicina era la calce, non il gesso.
L’errore fu fatale all’ignaro Proculeio, a meno che non si pensi che abbia voluto compiere l’insano gesto di proposito; in tal caso si suppone che anch’egli ben conoscesse, sin d’allora, la differenza fra un legante aereo ed uno idraulico.
Ancora dal Plinio si impara che a quei tempi la calce veniva usata diffusamente per la preparazione di pomate, cataplasmi ed unguenti.
La calce, si ricorda, veniva usata quand’era ancor giovane e viva; essa serviva a bruciare, dissolvere estrarre ed arrestare ogni inizio di ulcera serpiginosa.
Amalgamata con aceto ed olio di rose, oppure applicata con cera, ancor mista ad olio di rose, essa portava ogni piaga a cicatrizzare.
Si insegnava inoltre, che mesticata con resina liquida, o con grasso di suino e miele, essa guarisse ogni sorta di lussazione e gonfiore.

Da "le origini: storie di calce e forni" -  Di Gilberto Quarneti

Rudus novum - redivivum


Sopra quel primo letto di felce o di paglia gli operai collocavano la loro costruttura per quattro diversi strali. Il primo era composto di pietre o di ciottoli, legati insieme colla calce.
Questo primo strato di fabbrica che formava il fondamento del lavoro, chiamavasi statumen
Il secondo strato di fabbrica faceasi di parecchi rottami o pietre spezzate e mescolate colla calce; e ciò chiamavasi rudus.
Se questa materia era di pietre spezzate che non avessero giammai servito, le davano il nome di rudus novum, e la mescolavano in parti eguali colla calce viva.
Se la materia proveniva da rottami che erano già stati posti in opera, allora chiamavasi rudus redivivum; non si mischiavano che due parti di calce, con cinque di quella mescolanza; e l'applicazione che se ne facea a colpi di mazzeranga per assodarla, renderla piena ed eguale, chiamavasi ruderatio.
Era d'uopo che tutto quel terrapieno, tanto di ciottoli che di rottami, dopo d' essere stato sufficientemente battuto e appianato, avesse almeno nove pollici di grossezza. Sopra quel terrapieno faceasi un terzo strato composto di una parte di calce e di tre parti di mattoni spezzati o di tegole battute, che veniva posto sopra l’intonicatura ( ruderatio ), come uno strato molle, onde collocarvi il quarto strato di pavimento che per ultimo serviva a coprire l'intiero lavoro, e per questa ragione chiamavasi summit erutta.

Dell'Architettura, Volume 2 -  Di Vitruvius, di Carlo Amati

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